Il Fiume Oglio

Il Fiume Oglio costituisce, con i suoi 280 km di lunghezza, il secondo affluente per importanza del Po, nel quale sfocia dopo aver attraversato le Province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. Coincide, per la quasi totalità, con il confine occidentale del Parco dell’Adamello, dal Comune di Ponte di Legno sino a Breno (BS), e rappresenta l’elemento naturalistico più importante del fondovalle alpino della Valle Camonica, che percorre per 81 km con una superficie di bacino imbrifero pari a 175.200 ha.

L’Oglio nasce presso l’abitato di Ponte di Legno (a 1236 metri s.l.m.) dalla confluenza del Torrente Narcanello (le cui sorgenti sono nel Parco dell’Adamello, presso il Monte Castellaccio a 3104 metri s.l.m.) con il Torrente Frigidolfo (le cui sorgenti sono nel Parco Nazionale dello Stelvio, in Valle delle Messi, sulle pendici del Corno dei Tre Signori a 3360 metri s.l.m.) e si immette nel Lago di Iseo a quota 185 m.s.l.m. Il corso dell’Oglio si estende in direzione Nord-Sud, circondato da importanti gruppi montani appartenenti alle Alpi Retiche meridionali (Adamello, Re di Castello, Listino, Badile, Frerone, Blumone in sponda idrografica sinistra; Gruppo dell’Ortles-Cevedale, Torsoleto, Venerocolo, Concarena, Pizzo Camino, Monte Altissimo nelle Alpi Orobie orientali in sponda destra); una parte del suo bacino imbrifero è costituita da ghiacci perenni.

Il regime idrologico è tipicamente alpino, anche se l’andamento delle portate presenti negli alvei del corso principale e dei torrenti laterali è fortemente alterato da numerose attività di derivazione a scopo idroelettrico.

Un fiume è paragonabile ad una “arteria” in grado di distribuire alle “cellule” dei tessuti territoriali che lo circondano linfa vitale ed energia e consente, entro certi limiti, di assorbirne, come fa una “vena”, le sostanze tossiche per poi depurarle.

Fauna

Il tratto montano dell’Oglio, da Ponte di legno a Cedegolo, presenta condizioni ambientali severe con acque fredde, turbolente, veloci, povere di nutrimento, ma ben ossigenate e poco inquinate.

I pesci (Salmonidi) che sono in grado di popolare questi ambienti sono assai pochi: la trota Fario è la specie principale di queste acque e dà il nome alla zona ittica delle acque montane. La Fario è accompagnata frequentemente dallo Scazzone, piccolo pesce di abitudini strettamente legate al fondo del fiume. Solo nei tratti meno pendenti presso il fondovalle si può aggiungere il Vairone, piccolo Ciprinide che predilige zone calme e ricche di rifugi in cui nascondersi.

Nel tratto pedemontano, le specie guida sono la Trota marmorata ed il Temolo, accompagnati in misura sempre minore procedendo verso valle dalla trota Fario e dallo Scazzone. Compaiono, inoltre, i Ciprinidi amanti della corrente quali il Barbo canino e il Barbo comune, il Vairone, la Sanguinerola. Nei pressi di Rogno, la metà della popolazione ittica è composta dall’ibrido di Trota Fario e Trota Marmorata. Interessante è la presenza di una piccola popolazione di Temolo e di Trota Mormorata non ibridata. Completano la popolazione la Sanguinerola e il Barbo comune. Il tratto più a valle in località Costa Volpino risente della vicinanza del lago, da cui risalgono il Luccio, l’Anguilla, la Bottatrice e il Persico reale. La specie più numerosa resta il Vairone, accompagnata da piccole popolazioni di Temolo, Trota marmorata, di Barbo canino e, assai interessante, di Lampreda di fiume. Presso la foce dell’Oglio nel Lago d’Iseo si trovano zone di grande valore paesaggistico ed ambientale per l’alternarsi di boschi igrofili a salici e ontani alternati a coltivi, prati umidi, canneti.

Tra gli Uccelli più diffusi lungo il fiume, risalendo la foce si trovano il Germano reale, la Folaga, il Cigno reale, l’Airone cenerino, il Martin pescatore, le Ballerine, il Fanello, il Lucherino e molti altri. Nei boschi ripariali si trovano Fagiano, Poiana, Gufo comune, Assiolo, Allocco, Upupa, Picchi – verde e rosso maggiore – Usignoli, Capinere e Cuculi.

Per quanto riguarda i mammiferi, le rive e i boschi ripariali dell’Oglio costituiscono un rifugio per molte specie che popolano i dintorni e che utilizzano il fiume come corridoio di transito: così non è raro imbattersi in caprioli, volpi, tassi, ricci, lepri e ghiri.

Gli Anfibi sono rappresentati da diverse specie di rane, rospi e raganelle; tra i rettili domina la Natrice d’acqua ma non mancano i Saettoni e gli Orbettini.

Il fiume non costituisce solo un habitat prezioso ed insostituibile per centinaia di specie animali, ma è un vero e proprio “corridoio ecologico” che, oltre ad offrire rifugio e alimenti, consente gli spostamenti della fauna dalla pianura alle Alpi (e viceversa) e da un versante all’altro della Valle.

 

Airone cenerino (Ardea cinerea)

L’airone cenerino è parzialmente sedentario e nidificante in Italia: tra gli Ardeidi è la specie che si spinge più a Nord, tanto che in estate è possibile incontrarlo anche oltre il Circolo Polare Artico. Questo airone predilige in genere le pianure, ma si adatta anche agli habitat collinari e montani, frequentando zone umide d’acqua dolce e salmastra, possibilmente circondate da abbondante vegetazione ripariale (a pioppo e salice). L’esemplare adulto può raggiungere 90-98 cm di lunghezza e il suo peso può variare da 1 a 2 kg. Gli adulti presentano piume nere sul collo e un ciuffo scuro sulla nuca molto pronunciato; negli esemplari più giovani il piumaggio è in genere grigiastro. Le zampe sono giallo-grigiastre mentre il becco può assumere la medesima tonalità o apparire aranciato nel periodo riproduttivo. Quando la specie spicca il volo, il suo collo si ripiega assumendo la tipica forma “a esse”. L’alimentazione della specie include pesci, rane, girini, bisce d’acqua, invertebrati e piccoli mammiferi, che esso cattura appostandosi e rimanendo immobile per poi trafiggerli facilmente grazie al robusto becco.

 

Luccio (Esox lucius) e  Persico reale (Perca fluviatilis)

Nella rappresentazione si apprezza la predazione del luccio su di un persico reale. Il luccio è un predatore di grandi dimensioni (fino a 130 cm e 30 kg di peso), dalla coda robusta e dal corpo particolarmente slanciato: la specie ha evoluto tale forma idrodinamica come specializzazione allo scatto veloce, con il quale ghermisce pesci di piccola e media taglia, immobilizzandoli ed uccidendoli con l’ampia bocca munita di denti acuminati. La livrea mimetica consente alla specie di tendere agguati rimanendo immobile nella vegetazione acquatica: il luccio ha infatti dorso e fianchi verdi screziati di giallo o biancastro; la pancia è bianca, mentre le pinne possono assumere tonalità varianti dal brunastro all’arancio vivo.

Il persico è invece un predatore di taglia media (massimo 50 cm, 3 kg di peso), ben riconoscibile per la livrea a bande scure in campo dorato-olivastro che tende a schiarirsi sui fianchi, fino al ventre bianco. Le pinne sono aranciate o rosso acceso; il profilo diviene tozzo all’aumentare della taglia: a differenza del luccio, il persico è specie gregaria che frequenta laghi e fiumi e si rinviene spesso in prossimità dei grandi branchi di pesce di piccola taglia (in genere alborelle e triotti) dei quali si nutre.

Germano reale (Anas platyrhynchos)

Il germano reale è un’”anatra di superficie”, ovvero un’anatra che non necessita di immergersi per nutrirsi, e che non necessita di “rincorsa” per librarsi in volo. Progenitrice dell’anatra domestica, il germano reale è l’anatra più diffusa in Europa, stanziale nella maggior parte del continente; è considerata residente, svernante, migratrice in Italia (a seconda del comportamento delle singole popolazioni). La specie è caratterizzata da una grande adattabilità, in quanto nidifica agevolmente in habitat lacuale, fluviale e palustre. La forma del corpo è tozza, con becco e capo grandi e coda corta; la specie si distingue dalle altre per lo specchio alare blu metallico orlato di bianco. In abito riproduttivo il maschio ha capo verde metallico, orlato da uno stretto collarino bianco, il petto è purpureo, il resto del corpo grigio di varie tonalità, le penne caudali sono nere e piegate verso l’alto: il becco è giallo opaco uniforme. La femmina ha invece livrea ocra striata di marrone e becco aranciato con culmine nerastro.

Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus)

Il merlo acquaiolo è specie stanziale in Italia e si rinviene frequentemente sui rilievi alpini e appenninici, in stretta vicinanza ai corsi d’acqua torrentizi o nelle foreste prossime agli stessi. La specie è fortemente territoriale poco gregaria, ad esclusione ovviamente del periodo riproduttivo, nel quale essa è solita peraltro costruire un nido di pagliuzze e muschi, a forma di cupola e con entrata laterale. La dieta del merlo acquaiolo è a base di invertebrati acquatici (anellidi e larve di insetti) che cattura tuffandosi sotto il pelo dell’acqua, nuotando abilmente e addirittura camminando sul fondale: quando attivo esso è in genere visibile sui massi dell’alveo, e risulta facilmente riconoscibile per il “bavaglino” bianco sul petto, che stacca nettamente dal resto del corpo, di colore nero fuliggine (ad esclusione del capo e del “sottobavaglino” fulvo-brunastri).

Trota fario (Salmo cenerinus) e Trota marmorata (Salmo marmoratus)

La trota fario si contraddistingue dalle altre trote per la serie di puntini rossi e neri presenti sul dorso: la livrea varia dal marrone scuro al verde olivastro, schiarendosi sui fianchi: il ventre è in genere giallastro. La specie in Italia è originaria delle Alpi e degli Appennini e frequenta i corsi d’acqua montani dal fondovalle alle alte quote. La trota fario si alimenta prevalentemente di larve di insetti, insetti adulti e piccoli pesci.

La trota marmorata ha livrea marrone-grigiastra sul dorso e fianchi: la specie prende il nome dalle evidenti marmoreggiature che sfumano sui fianchi fino al ventre di colore giallastro o bianco panna. Tipica del tratto di fondovalle dei fiumi, da adulta si ciba essenzialmente di pesce raggiungendo eccezionalmente la ragguardevole taglia di 25 kg di peso. Entrambe le specie rivestono fondamentale importanza per la pesca sportiva, ma sono protette da periodi di divieto di pesca, numero massimo di esemplari catturabili e misure minime di cattura.

Natrice dal collare (Natrix natrix) e Pulcino di ballerina nera (Motacilla alba

Il termine “natrice” deriva dal latino “natrix”, che significa “nuotatrice”: in realtà la specie è la meno acquatica delle natrici italiane, sebbene frequenti sovente stagni, laghi, paludi e pozze d’acqua temporanee. Non è tuttora chiaro il numero di sottospecie di natrice dal collare esistenti in Italia. La colorazione è prevalentemente grigio-verdastra con macchiettatura nera; in corrispondenza dell’inserzione del capo spiccano (sui lati) due macchie bianco-giallastre, costituenti una sorta di collare che conferisce il nome alla specie: in Italia essa raggiunge 2 m di lunghezza e si nutre prevalentemente di piccoli pesci e anfibi, non disdegnando invero mammiferi e uccelli. Malgrado la sua saliva risulti tossica per alcuni piccoli animali, la natrice dal collare non è velenosa e morde solo raramente, simulando più spesso attacchi senza aprire la bocca: tra le strategie di difesa, oltre a fingersi morta, la specie è in grado di secernere un liquido acre dalle ghiandole anali.

“Un pulcino di ballerina nera” (Motacilla alba) risulta facile preda per il rettile. Spesso, infatti, sono i pulcini di uccelli ed i cuccioli di mammiferi (topi, arvicole, talpe, etc.), oltre a piccoli pesci ed anfibi, a risultare comode prede della natrice.

Martin pescatore (Alcedo atthis)

Il martin pescatore è uno degli uccelli italiani più sgargianti ed affascinanti: si distingue facilmente dalle altre specie di avifauna per il piumaggio cangiante dal verde all’azzurro-cobalto del capo, del dorso e della coda. Le guance e la parte inferiore del corpo sono invece di colore arancio acceso, e lasciano spazio ad una macchia bianca sulla gola e su entrambi i lati del collo. Si tratta di una specie di piccole dimensioni (massimo 20 cm) particolarmente adatta al volo veloce, alla picchiata e al tuffo: il martin pescatore si alimenta infatti di pesce di piccola taglia, frequentando le sponde dei grandi fiumi o laghi. Per la nidificazione la specie necessita di sponde sabbiose ad incisione verticale: il martin pescatore scava infatti il proprio nido a galleria inoltrandosi anche per un metro nel terreno.

Rana esculenta (Rana lessonae e Rana kl. esculenta)

L’appellativo “rana esculenta” o “rana verde” si riferisce in realtà a due specie distinte (Rana lessonae e Rana kl. esculenta) sebbene difficilmente distinguibili tra loro. La rana esculenta può assumere una colorazione estremamente variabile: il dorso può infatti assumere diverse tonalità di verde mentre le macchie scure, tipiche della specie, variano notevolmente per dimensione e forma. Il ventre tende ad essere giallo spento o grigio chiaro. Le due specie sono molto comuni e abbondanti in genere, e frequentano sostanzialmente la totalità di habitat umidi disponibili in Italia ed Europa. Sebbene le rane verdi non siano in pericolo di estinzione, l’alterazione della qualità dei corpi d’acqua ha provocato una riduzione d’abbondanza delle popolazioni italiane: la specie ha interesse alimentare ma in alcune regioni del Nord Italia la sua cattura è stata proibita.

Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) ,Tritone alpestre (Ichthyosaura alpestris sottospecie alpestris) e Tritone crestato italiano (Triturus carnifex).

L’ululone dal ventre giallo, prende il nome dalla caratteristica colorazione del ventre e dal canto che emette nel periodo riproduttivo, simile ad un ululato e ripetuto anche 40 volte al minuto. In Italia la specie è presente esclusivamente nelle regioni Nord orientali e predilige habitat umidi soggetti a forti alterazioni ed estremamente dinamici (pozze temporanee, pascoli calpestati, abbeveratoi): questa propensione dipende probabilmente dalla scarsa frequentazione di tali habitat da parte di altre specie.

In Italia sono presenti 3 sottospecie di tritone alpestre, rispettivamente localizzate sui rilievi dell’arco Alpino, dell’Appennino settentrionale e della Calabria. Triturus a. alpestris è presente soprattutto nel settore Orientale dell’arco alpino e frequenta alte quote e acque limpide e fresche. Durante l’arco dell’anno entrambi i sessi assumono una colorazione scura, marrone, marrone verdastro o nero. Nel periodo riproduttivo i maschi hanno una cresta dorsale biancastra ornata da macchie e punti neri; la colorazione dorsale grigio-bluastra tende a schiarirsi lungo i fianchi, macchie più chiare irregolari sono distribuite su tutta la superficie. Sui fianchi si osserva anche una fascia bianca a macchiette nere. Le zone ventrali si presentano di colore arancio molto brillante. La coda è bluastra con grandi macchie scure e nere. La livrea delle femmine in riproduzione è più chiara, meno brillante, più uniforme, e priva della fascia bianca macchiettata sui fianchi.

Il tritone crestato italiano è diffuso sostanzialmente in tutta la Penisola (ad esclusione di Sardegna e Sicilia). Il maschio ha una forma piuttosto slanciata e il muso più sottile rispetto alla femmina, che appare più tozza e grande, con testa più larga e massiccia: nel periodo riproduttivo il maschio è caratterizzato da una cresta dorsale frastagliata e da una livrea grigio-brunastra con macchie più scure; il capo e il collo sono screziati o punteggiati di bianco; il ventre può essere giallo vivo o aranciato. Nella femmina non si sviluppa alcuna cresta, ma compare una striscia dorsale di color giallo chiaro.

Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus) e Cuculo (Cuculus canorus)

Il cannareccione è un uccello di piccole dimensioni (massimo 20 cm) dal dorso di colore marrone e il ventre bianco sporco: si distingue dalla cannaiola comune per le maggiori dimensioni e per il sopracciglio biancastro che si allunga dal becco superando l’occhio. Il cannareccione è un migratore regolare che nidifica in canneti maturi ed estesi, costruendo un nido a forma di cesto.

Proprio tale nido può essere oggetto di attenzione del cuculo, un migratore regolare (a volte anche svernante in Italia) la cui abbondanza e distribuzione sono strettamente legate alla disponibilità di nidi degli uccelli che esso parassita. Ogni femmina di cuculo è specializzata nella deposizione di uova che imitano perfettamente quelle di una particolare specie, e proprio nei nidi di tale specie essa depone un uovo, facendo sì che i costruttori del nido sfamino il cuculo nato in seguito. Gli esemplari giovanili di cuculo appaiono di colore grigio-brunastro barrati di nero: gli adulti hanno iride, anello perioculare, becco e zampe gialli; il maschio ha dorso e petto grigio-cerulei uniformi e ventre bianco barrato di nero; la femmina può avere tonalità simili o essere rosso-brunastra completamente barrata di nero.

Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), Scazzone (Cottus gobio) e Efemerotteri (Hefemeroptera

Il gambero di fiume, o “gambero dalle zampe bianche” è uno dei più grandi invertebrati d’acqua dolce italiani. Questo crostaceo vive generalmente in acque fresche e ben ossigenate di torrenti e fossi montani o collinari: ha abitudini prettamente notturne; durante il giorno si tiene infatti al riparo tra i sassi e le radici del letto dei corsi d’acqua. Fin dal Medioevo, per la bontà delle carni, la specie ha rivestito un grande interesse alimentare ed economico: a causa della periodica muta del carapace essa aveva assunto una valenza simbolica di resurrezione e rinnovo, figurando sovente nelle rappresentazioni dell’Ultima Cena. Il gambero di fiume è oggi specie protetta in quanto l’alterazione degli ambienti acquatici e l’introduzione di specie esotiche hanno comportato una forte contrazione delle popolazioni.

Lo scazzone è un pesce di piccola taglia (raggiunge 16 cm circa) presente lungo l’arco alpino, sull’ Appennino Centro-Settentrionale e negli ambienti di risorgiva della Pianura Padana: in condizioni naturali questa specie condivide il proprio habitat con il gambero di fiume: acque fresche, pulite e ben ossigenate sono necessarie alla sopravvivenza dello scazzone. Tipicamente notturno e territoriale, conduce la vita a stretto contatto con il fondale, ove trova nutrimento e riparo. Lo scazzone si nutre principal¬mente di larve di insetti (come gli efemerotteri rappresentati sul pelo d’acqua) e ha evoluto una forma del corpo particolarmente adatta ad affrontare le forti correnti dei torrenti montani.

Cigno reale (Cygnus olor) e Cigno selvatico (Cygnus cygnus)

In Italia il cigno reale è specie residente, spesso associata alla presenza dell’uomo; mentre il cigno selvatico (rappresentato a sinistra) e il cigno minore sono migratori o svernanti rari o perlomeno irregolari. I cigni sono uccelli acquatici di grandi dimensioni, caratterizzati da un collo molto lungo, grazie al quale si nutrono agevolmente dei vegetali sommersi. Decisamente goffi a terra, necessitano anche di molto spazio per il loro laborioso decollo. I cigni sono gregari solo in inverno, e monogami per l’intera vita.

Il cigno reale si distingue da adulto per il becco arancio-rosso con una notevole protuberanza nera sulla fronte; le narici sono nere e ben visibili. Gli esemplari giovanili sono in genere grigiastri con becco grigio scuro che si schiarisce progressivamente diventando rosato con la crescita; la protuberanza frontale è assente. Il cigno reale si contraddistingue per l’aggressività con la quale difende il territorio, il nido, e la prole.

Il cigno minore ha dimensioni più contenute del cigno reale e si differenzia da quest’ultimo per il collo relativamente corto e per l’attaccatura del becco gialla e il resto dello stesso nero. L’esemplare giovanile ha sfumature grigiastre mediamente più scure di quelle del giovanile di cigno reale: il becco è piuttosto allungato, giallastro all’attaccatura e rosato per la restante parte.

Flora

Non si possiede un censimento completo che quantifichi la ricchezza floristica del territorio attraversato dall’Oglio.

Si può tuttavia affermare che le specie arboree e arbustive più diffuse lungo il Fiume sono i salici, (Salix alba, S. purpurea, S. eleagnos) gli ontani bianchi e neri (Alnus incana, A. glutinosa), i pioppi (Populus alba, P. nigra), il sambuco (Sambucus nigra), il berretto da prete (Euonymus europaeus) e il sanguinello (Cornus sanguinea). La parte superiore del corso, da Edolo alla sorgente, ha carattere torrentizio ed è sempre orlata da una intensa vegetazione arborea che si riduce ad arbusti presso la sorgente ed è composta soprattutto da salici. Una specie in forte aumento è il nocciolo (Corylus avellana) che, man mano si risale il corso del Fiume, diventa sempre più presente e opportunista, nel senso che tende a colonizzare i coltivi presso le sponde, soprattutto se abbandonati.

Singolare il caso della tamerice alpina (Myricaria germanica), che negli scorsi anni era ormai ridotta a sole due stazioni in alta Val Camonica: in Val Grande di Vezza d’Oglio e in Valle delle Messi. Fortunatamente questa bella e rara specie è tornata a popolare in discreta quantità anche il torrente Narcanello uno dei primi contributori del Fiume Oglio.

Dal punto di vista della flora erbacea, numerose sono le felci e le altre specie autoctone presenti lungo tutto il corso del Fiume ed affluenti. Fra di loro ve ne sono alcune rare, comprese nella lista rossa della Flora Italiana (specie da proteggere) e negli elenchi delle specie di cui è proibita o regolamentata la raccolta (LR. 10/2008). Tra queste troviamo varie piante a bulbo (geofite) rare o di particolare bellezza, come Allium ursinum, Corydalis cava, Gagea lutea, Scilla bifolia, Galanthus nivalis, Leucojum vernum  e L. aestivum  (una sola stazione).

Presso lo sbocco nel Sebino, inoltre, è ubicata l’unica popolazione ancora documentata per la porzione meridionale delle Alpi di Typha minima, contornata da Equisetum palustre  e nelle vicinanze da Iris pseudacorus, Oenanthe acquatica, Rumex palustrise da rare orchidee (Dactylorhiza incarnata ).

Importante è pure la componente esotica della flora fluviale, che ammonta a circa 100 specie considerate le neofite (introdotte dopo il 1492, scoperta dell’America) e archeofite, ossia specie antiche che hanno accompagnato l’uomo nelle sue migrazioni e coltivazioni. Le specie esotiche, a volte di grande bellezza, hanno mutato il paesaggio fluviale soprattutto nell’ultimo secolo, assegnadogli una fisionomia insolita fatta di colori vivaci e piante opportuniste.

Se dal punto di vista fitogeografico la presenza di questa Flora può rappresentare una significativa alterazione, dal punto di vista ecologico è sintomo di nuove ricerche di equilibri che sempre di più coinvolgono l’uomo nel governo degli habitat con scelte di contenimento di alcune specie che possono rappresentare pericolo per la salute, quali Ambrosia artemisiifolia (proveniente dall’America) ed Heracleum mantegazzianum (di origini asiatiche) che costituiscono, la prima una importante causa di allergie e la seconda un pericoloso agente infiammatorio della cute.

Servizi ecosistemici

Un fiume efficiente e in equilibrio dinamico con l’ambiente che lo circonda, rappresenta la principale innervazione ecosistemica, economica e sociale di un territorio, indispensabile per sostenerne la vita circostante, non solo quella delle popolazioni umane ma anche di tutti gli altri esseri viventi.

Un fiume in equilibrio con i territori circostanti è, innanzitutto, un fiume geologicamente, idraulicamente e igienicamente sano e rappresenta un elemento strategico per la sicurezza delle popolazioni e non, un elemento naturale al quale essere indifferenti o del quale addirittura avere paura.

Ecco perché anche il fiume Oglio assolve, o meglio dovrebbe assolvere, a tutta la pluralità di funzioni proprie di un ecosistema fluviale. Tali funzioni si concretizzano attraverso una serie di servizi resi al territorio ed alle popolazioni locali, oggi spesso definiti con il termine di “Servizi Ecosistemici”.

  • Qualità delle acque: un fiume funzionale ed efficiente è in grado di autodepurarsi agendo come un depuratore naturale altamente efficace e in grado di affinare i livelli di depurazione antropica ottenuta con processi biochimici, affinamento che altrimenti, oltrechè essere di difficile attuazione, necessiterebbe di costi aggiuntivi insostenibili alle comunità residenti.
  • Sicurezza igienica: un fiume con buone acque, oltre a rappresentare un vettore ecologico di grande significato estetico, rappresenta anche un elemento di sostegno ad attività economiche e ludiche tutt’altro che secondarie: agricoltura, ittiocultura, pesca dilettantistica, rappresentano solo i punti di inizio di una “filiera” dalla quale traggono giovamento numerosi altri elementi economici, con particolare riferimento al turismo.
  • Paesaggio: un fiume ben conservato, ordinato nelle sue componenti forestali di margine, percorribile a piedi, a cavallo o in bicicletta, rappresenta una “infrastruttura naturale” di pregio, in grado di riequilibrare, quasi da sola, l’intero fondovalle camuno, purtroppo costellato di interventi fortemente impattanti sul paesaggio e sui tessuti sociali.
  • Richiamo turistico: l’appeal turistico della Valle Camonica, globalmente intesa, impatta contro tre elementi di forte negatività, immediatamente percettibili all’occhio di chi la percorre per la prima volta:
    • l’impressione di forte disordine urbanistico data dal fondovalle (impressione amplificata dalla aggressiva pubblicità stradale posta lungo la SS 42 e dalle numerose linee elettriche che vi si intersecano) che spesso impediscono il godimento dei mirabili paesaggi alpini;
    • la mancanza di una segnaletica turistica coordinata ed efficace;
    • lo stato di abbandono in cui versa l’ambito fluviale del fiume Oglio.

Riportare il fiume a condizioni funzionali ed estetiche di qualità significa anche porre rimedio ad uno dei tre principali fattori di degrado (reale e percepito) che sviliscono il territorio camuno.

  • Recupero ecosistemico: il fiume Oglio rappresenta la principale componente ecosistemica di fondovalle in grado di mantenere elevata la permeabilità ecologica dell’intera Valle Camonica con le altre vallate alpine e soprattutto con la pianura padana. Ciò significa, innanzitutto, sicurezza per le popolazioni animali e vegetali, contrasto alla penetrazione di specie esotiche potenzialmente invasive, se non addirittura pericolose per gli equilibri naturalistici e per le attività agricole locali, contrasto ai cambiamenti climatici in atto (fondamentale la capacità termoregolatrice delle acque del fiume nel fondovalle e nell’ambito lacustre), elevazione della sicurezza biologica e quindi igienica per specie animali e vegetali.

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